“DONNA, VITA , LIBERTA’ “è il grido che accompagna l’ondata di proteste in Iran iniziate il 16 settembre 2022. Proteste iniziate e portate avanti principalmente dalle donne.

Non è la prima volta che ci sono proteste importanti in Iran: questa volta la causa scatenante è stata la morte di Mahsa Amini, 22enne arrestata a Teheran con l’accusa di non aver indossato il velo come prescritto dalle rigide regole imposte dal Governo. Le autorità attribuiscono la sua morte a cause naturali, ma presto emergono testimoni che parlano di un pestaggio, descrivendo le gravi lesioni alla testa che riportava la giovane.  La notizia si è diffusa rapidamente sui social media ed i primi gruppi di manifestanti si sono riuniti già il giorno stesso davanti all’ospedale in cui era ricoverata la ragazza.

 Il giorno successivo, ai funerali, alcune donne hanno iniziato a rimuovere l’hijab in segno di protesta. In pochi giorni sono esplose manifestazioni in diverse città del Paese, con slogan che attaccano la polizia religiosa e le leggi che regolano l’abbigliamento femminile, inasprite a metà agosto dal Governo dell’ultraconservatore  Raisi. 


L’Iran tuttavia non è il solo Paese a mettere a repentaglio i diritti e la dignità delle donne.

 E non parliamo solo di paesi mussulmani come l’ Afghanistan, l’Arabia Saudita, il Qatar. In quest’ultimo paese si stanno svolgendo i Mondiali di Calcio per il quale gli occidentali chiudono occhi, bocca, cervello di fronte al mancato rispetto dei diritti umani e civili:  da quelli di lavoratrici e lavoratori, a quelli delle donne , a quelli della  comunità LGBTQ+.

Anche in Europa i diritti delle donne sono sotto attacco: pensiamo alla Polonia dove nel 2020 una sentenza del Tribunale costituzionale polacco stabilì il divieto pressoché totale di abortire, giudicando incostituzionale l’interruzione anche in caso di gravi ed irreversibili malformazioni fetali o malattie incurabili che minacciano la vita del feto (il 90% degli aborti riguardavano proprio questi casi).

Un altro paese europeo che limita l’autodeterminazione delle donne è l’Ungheria: da tempo l’Ungheria viene criticata per le sue disuguaglianze di genere, ed ovviamente è arrivato l’attacco alla legge sull’aborto che è legale in Ungheria dal 1953.

 Dal 15 settembre scorso, le donne che  intendono interrompere una gravidanza saranno obbligate a sentire il battito del cuore del feto.

Le cosiddette leggi sul battito cardiaco fetale sono state una caratteristica della legislazione anti-aborto negli Stati Uniti d’America dove si  a vietare l’interruzione volontaria di gravidanza: basti pensare alla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 24 giugno scorso  che ha abolito la storica sentenza Roe vs. Wade con la quale, nel 1973, il medesimo organo di giustizia, aveva  riconosciuto il diritto costituzionale delle donne all’aborto e lo legalizzava a livello nazionale.

 

Anche in Italia con l’insediamento del nuovo Governo avvenuto nell’ottobre del 2022, tra le prime proposte programmatiche c’è stata quella di modificare la legge 194/78 sull’aborto. 

Basti pensare che Matteo Salvini ha più volte affermato di avere come modello per le politiche su famiglia e natalità quanto messo in campo dal governo ungherese di Viktor Orbán.

 Secondo Salvini la legge europea più avanzata in termini di diritti alla famiglia è quella ungherese. 

Il Senatore Gasparri intende poi modificare la capacità giuridica trasferendola dal nascituro al feto.

In questo modo una donna che ad oggi secondo la legge è libera di decidere del suo corpo e può praticare un aborto sicuro, resterebbe non solo privata dell’accesso alla sanità pubblica, ma risulterebbe anche un’omicida.

In un Paese a stampo patriarcale dove si fa ancora difficoltà a scindere stupro da consenso, omicidio da femminicidio, complimento da molestia sessuale, questa proposta di legge risulta alquanto preoccupante.

 Non che la 194 non sia mai stata messa a repentaglio, anzi.

In Italia ci sono regioni che raggiungono più dell’85% di ginecologi obiettori di coscienza – dati del Ministero della Salute a giugno 2022 – che si traduce nella quasi impossibilità di abortire in molte parti del nostro Paese se non percorrendo molti chilometri e spesso cambiando provincia.

Altri attacchi alla 194 sono avvenuti direttamente dalle Regioni, il Piemonte è tra queste.

 Maurizio Marrone, assessore regionale di Fratelli D’Italia, il 12 ottobre 2022 ha portato a casa una vittoria che paventava da tempo, nonostante le proteste, nonostante le manifestazioni, nonostante la completa opposizione della minoranza, nonostante le donne.

 Da ottobre in Piemonte verranno stanziati 460.000 euro alle associazioni No Scelta che avranno il compito di interagire con le pubbliche strutture (ospedali, asl, consultori, ecc) al fine di “accompagnare le donne in gravidanza ad una scelta consapevole”, come scrive nella sua bozza di legge. 

In poche parole un uomo sta decidendo per molte donne quale sia la consapevolezza,  dando in mano ad associazioni private (di parte), soldi pubblici: alle prime 100 donne che decideranno di non abortire verrà “elargita” una somma pari a 4.000 euro, dando per scontato che il motivo principale per il quale una donna decide di porre termine ad una gravidanza sia esclusivamente di tipo economico, ma nulla viene assicurato per i servizi pubblici che invece sono oggetto di continui tagli economici.

Riteniamo invece che la salute delle donne sia un diritto, e la legge 194 (oggetto già di referendum 48   anni fa) è nata per garantire questo diritto.

L’Organizzazione mondiale della Sanità ci dice che nel mondo ogni anno 47.000 donne muoiono a causa di un aborto effettuato in condizioni di non sicurezza e che 5 milioni soffrono di malattie temporanee o permanenti, tra cui la sterilità (cioè non potranno più avere figli).

 Ci dice anche che la mortalità è alta nei Paesi in cui l’aborto è proibito e bassa nei Paesi in cui esistono leggi che lo tutelano.

 All’Ospedale Sant’Anna di Torino, prima del 1978 l’aborto (clandestino) era la maggiore causa di gravi malattie o morte materna, mentre dopo l’introduzione della legge 194/1978 le patologie e la morte legati all’aborto si sono azzerate”.

La legge 194 deve essere applicata in tutti i suoi aspetti, a garanzia della salute delle donne. E la legge prevede l’attivazione di tutte le misure di prevenzione: informazione a tutti i livelli sulla contraccezione, facilità di accesso alla contraccezione stessa, supporto psicologico, aumento della consapevolezza del proprio corpo.

Per tutti questi motivi, anche noi chiediamo con forza che vengano riattivati quei consultori che in questi anni sono stati gradualmente chiusi.

I numeri degli aborti in Italia, da quando è stata legalizzata l’interruzione volontaria di gravidanza, sono in continuo calo, ciò vuol dire che la legge funziona , non ha bisogno di essere cancellata, ma piuttosto rafforzata.

 

 

Bisognerebbe poi parlare ed occuparsi un po’ di più della vita che c’è, non di quella ipotetica sui cui troppi vogliono mettere le mani.

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COORDINAMENTO DONNE FISAC CGIL PIEMONTE

 

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