carta dei diritti

Riportiamo un’importantissima sentenza della Cassazione, che ribadisce come il Giudice possa e debba pronunciarsi sulla proporzionalità tra infrazione commessa dal lavoratore e sanzione irrogata dal datore di lavoro.

Tutta la legislazione sul lavoro di questi ultimi anni, per ultimo il Jobs Act, ha teso a ribadire il contrario, relegando il Giudice del Lavoro ad una funzione quasi notarile. 

Ricordiamo infatti che anche coloro che non rientrano tra le previsioni del Jobs Act, si trovano tuttavia in regime di tutela dei licenziamenti piuttosto attenuata. Nel caso del licenziamento disciplinare, la reintegra è prevista solo in caso il fatto non sussista o il CCNL preveda (per l’infrazione commessa) sanzioni più lievi del licenziamento. Non una parola viene spesa a proposito della proporzionalità della pena.

Ma la proporzionalità della pena è un principio giuridico irrinunciabile, per fortuna la Magistratura se lo ricorda e in Sentenze come questa (che riguarda un lavoratore assunto prima dell’entrata in vigore del Jobs Act – al quale dunque si applica l’art 18 dello Statuto dei Lavoratori, seppur modificato dalla legge Fornero 92/2012) continua correttamente ad applicare il principio.

Va ribadito come il Legislatore abbia introdotto con il Jobs Act una vera e propria forzatura: la reintegra in caso di licenziamento illegittimo è prevista soltanto qualora sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, esclusa ogni valutazione circa l’eventuale sproporzione del licenziamento rispetto alla contestazione mossa al lavoratore.

Tradotto: significa che con il Jobs Act, per tutti i lavoratori assunti dopo il 7/3/2015, il principio giuridico della proporzionalità viene meno, pertanto una sentenza come questa non potrà più essere nelle facoltà della Magistratura!

Anche per questo portiamo avanti

la proposta di legge della

Carta dei Diritti Universali del Lavoro!!!


Per chi non avesse tempo/voglia di affrontare l’ardua lettura della sentenza, ne riportiamo un brano saliente:

“Il giudice di secondo grado investito del gravame con cui si chieda l’invalidazione d’un licenziamento disciplinare deve verificare che l’infrazione contestata, ove in punto di fatto accertata o pacifica, sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo di recesso e, in caso di esito positivo di tale deliberazione, deve poi, anche d’ufficio, apprezzare in concreto (e non semplicemente in astratto) la gravità dell’addebito, essendo pur sempre necessario che esso rivesta il carattere di grave negazione dell’elemento essenziale della fiducia e che la condotta del dipendente sia idonea a ledere irrimediabilmente la fiducia circa la futura correttezza dell’adempimento della prestazione dedotta in contratto, in quando sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto all’adempimento dei suoi obblighi”.

Segreteria Fisac Cgil Torino e Piemonte – Mercato del lavoro

Giugno 2016

 

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